giovedì 15 gennaio 2015

Un inverno bestiale (trenta anni fa)





Di ritorno dalla notte di Capodanno si sentiva una bava gelida che calava dal cielo come da profondità siderali. L’anno millenovecentottantacinque era appena nato. Poi notti sempre più fredde si susseguirono e lo stanco sole di gennaio nelle poche ore di luce non riusciva a recuperare un poco di calore. Prima gelò ogni vena d’acqua, poi i rivi si chiusero in una corazza. Anche l’Avisio cosi impetuoso si chiuse in un pastrano bianco opaco nelle anse dove l’acqua riposava appena un poco. La terra dura sui versanti nord sembrava esalare vapori di ghiaccio. Nel cielo limpido vagava una caligine di freddo intenso come una cappa immobile, un diaframma opaco tra sole e terra.  

Quella mattina la mia cinquecento singhiozzò a lungo prima che il motore prendesse vita. In viaggio verso il lavoro nell’abitacolo era tutto uno scricchiolare di metalli e plastiche indurite.  A Cembra verso le dieci per un caffè al bar, il termometro segnava meno diciassette.

L’acqua nelle tubature delle case cominciò a gelare, anche  in quelle pubbliche dove non erano sufficientemente profonde. Si cominciò allora a lasciare correre un filo d’acqua per impedire che  gelasse nelle tubature. Migliaia di rivoli d’acqua la notte scorrevano senza tregua nelle case e negli avvolti. Così il deposito idrico fu prosciugato e si rimase senz’acqua. La battaglia dura con il gelo polare pareva  persa.

I fratelli di Ville Domenico e Lorenzo in quel frangente si diedero da fare. Tutto il giorno senza tregua per le case a sgelare le tubature ghiacciate con apposite resistenze elettriche. Trascorse così la prima decade di gennaio inesorabile di gelo inconsueto, in Italia come in tutta Europa. Quando il fisico si stava adattando al persistere di quelle condizioni inusuali, il gelido vortice polare esaurì la lunga portata del suo fiato. Il termometro risalì lentamente.

Il tredici gennaio le prime falive di neve gelata come palline di polistirolo. Dapprima una nevicata stentata da un cielo incapace di sciogliersi in neve. Ma la porta atlantica si stava riaprendo e spingeva nuvole gonfie di umidità che avanzavano lentamente rallentate dall’ultime correnti del nord che si stavano ritirando. Nevicò, nevicò e nevicò ancora. Nevicò senza interruzione per tre giorni e tre notti. Alzando gli occhi al cielo era uno sfarfallio ininterrotto e accecante. Si accumulò oltre un metro e mezzo di neve soffice e compatta.

Tutto si fermò. Scuole e uffici chiusero, i negozi diedero quasi fondo alle riserve, le strade si interruppero.  La statale della Val di Cembra, la sponda destra, tuttavia fu chiusa solo per brevi ore unica nel Trentino. Anche l’energia elettrica si interruppe, ma nel paese fumavano i camini al fuoco caldo della stufa a legna. Tutti indaffarati e preoccupati intorno a casa a tenere aperti degli stretti varchi di passaggio tra cumuli di neve. Nelle pause, nella  cantine per un bicchier di vino e a parlare di nevicate mai viste ma anche di nevicate storiche negli anni che furono.

Prima che la spinta umida si esaurisse la neve si trasformò in acqua. Fu allora necessario spalare la neve fradicia che appesantiva i tetti. Pareva una lotta con l'inverno senza tregua e senza fine.

Poi, finalmente ritornò il sole nello stupore d'un paesaggio di un biancore accecante e fu come uscire da un incubo.  Già  i primi timidi rivoli di neve che si scioglieva. Eppure pareva impensabile a quel primo tepore di metà gennaio credere che il sole sarebbe riuscito a sciogliere tutta quella massa di neve.

Giunse anche quell'anno la primavera, ad aprile ritornò il cuculo a cantare nei boschi. E  ad agosto nel paese non v’era più traccia di neve. 




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