giovedì 13 agosto 2015

Giùst sbianchegià!*



      
           Nelle case di un tempo, un vecchio giro scala, reso lucido dai passaggi, abitato da diverse famiglie. Ogni rampa una porta di appartamento, spesso aperta ai rumori e alla vita in comune coi vicini. Si saliva si scendeva senza chiudere le porte. Spesso la cucina si affacciava ad un pianerottolo, una  rampa  e si andava in camera da letto. A  metà scala il cesso in comune: un buco che cadeva diretto nella latrina.

            Tonòn magro segaligno saliva la scala sacramentando. La moglie tutta casa e chiesa scendeva rispondendo alle bestemmie  col segno della croce, mormorando  giaculatorie: “gesù, maria santisima vardà giò!  Accovacciato sull’asse del cesso, socchiudendo la porta sgangherata Gino rispondeva “in secula secolorum amen. E si faceva una risata.

            Tonòn ha bevuto e fumato tutta la vita. E lavorato come un negro (questo era il paragone che si usava allora) Eppure ha vissuto fino a novanta anni. E tra un sacranòn e una giaculatoria della moglie ha trovato la voglia di generare due, forse tre figli. Negli ultimi anni il medico gli aveva proibito fumo e alcolici. Che lui stranamente ubbidiente aveva prontamente abbandonato. Anche il buon vino di uva schiava che teneva in una càneva fonda, cui si accedeva da una ripida scala di legno. Forse  dopo anni di strapazzi le prime magagne lo avevano reso arrendevole. Le  aveva prese come un’avvisaglia dell’ora suprema che si avvicinava. La frescura di quella cantina però, quando picchiava la canicola d’agosto la pensava spesso, senza sacramentare, visto che aveva smesso anche quell’abitudine!

            Da qualche giorno nella cucina del Tonòn  c’era un che di odor di fumo, come quando si affumicano le lucaniche. Nel silenzio delle ore che precedono il sonno poi si sentiva uno strano scricchiolio, come di tarli che rodono il legno. E quel sentore di fumo sempre presente e inspiegabile! Finché una mattina verso le undici, quando la polenta era cotta in tavola, cominciò a salire dal pavimento un filo di fumo, dove la parete faceva angolo. Tonòn senza una parola si precipito nel “volt”,  prese un piccone e una mazza e risali gli scalini quattro a quattro. Prese a picconare il pavimento della cucina con decisione, proprio dove il fumo si stava sprigionando sempre più denso. Sacramentava tra un colpo  e l’altro, dati con la forza bruta con la quale spaccava i blocchi di porfido in cava. Aveva subito compreso che il camino surriscaldato della cucina del Pio, che abitava di sotto,  aveva preso ad incendiare poco a poco la trave in legno del solaio. Era indispensabile isolare subito il fuoco prima che si propagasse.

            Pio al sentire quei colpi alzò la testa al soffitto con il boccone di polenta ferma nella bocca aperta. Si alzo da tavola con calma, con gli occhi sempre fissi al soffitto da cui si staccavano calcinacci sotto i fendenti. "Za…za zanta madòna de dio" borbottava tra sè e sè. Al contrario di Tonòn era un uomo flemmatico. Parlava lentamente, con una lieve balbuzie, intercalando spesso il discorso, non con dei sacranòni come Tonòn, ma con un flebile za…za zanta madòna de dio, giacché aveva la esse un po’ sibilante. Sempre con la sua flemma aveva però trovato modo di fare una decina di figli. Entrambi, Pio e Tonòn, come del resto  la maggior parte dei paesani erano galantuomini, subito pronti ad aiutarsi nel bisogno.

            “Va su a veder quel che combina el Tonòn!” lo invitò quella buona donna di sua moglie. Pio con il boccone in bocca, a malincuore prese le scale e salì di sopra. Era un uomo tranquillo che non avrebbe alzato la voce, men che meno per litigare. Si affacciò alla porta dalla quale usciva un fitto sacramentare e rumore sordo di colpi  di piccone. In una nuvola di fumo e polvere  si intravvedeva il Tonòn che picconava con forza senza interruzione. A forza di colpi, con un tonfo cupo si aprì un buco nel pavimento attorno al trave che fumava. Un secchiata d’acqua per spegnere le fiamme che  a  contatto con l’aria si erano sprigionate. Dal moncherino del trave si alzava ora un esile filo di fumo rancido.

            Cessato il pericolo, Tonòn si guardò intorno e vedendo il Pio silenzioso in disparte, gli lancio un orribile porco, indicandogli col pugno il camino della suo focolare, che per  pura fortuna non aveva provocato un incendio a tutta la casa. 

            Pio si avvicinò piano piano e impugnando il mento con la mano destra  guardò attraverso il foro la sua cucina di sotto, dove era caduto un mucchio di calcinacci e acqua nera di caligine lungo i muri. Un disastro! Vide la moglie che da sotto guardava in alto attraverso il buco perplessa. In quel silenzio irreale, alzando le braccia  avvilito Pio esclamò: “za..za zanta madòna de dio! Giùst sbianchegià l’altro dì!



 Ogni riferimento a persone reali è puramente casuale

* Giùst sbianchegià: appena dipinto i muri. Ben più espressiva la forma dialettale

venerdì 7 agosto 2015

Passo delle Farangole. m. 2814. Ghiacciaio delle Ziròcole .



            

                Nella conca più alta sotto il passo, dove resiste l’ultimo nevaio, non è giunto ancora il sole. Forse  per questo tutto pare più severo, con la parete del Focobon che incombe. Le ghiaie mobili di frana  disegnano ogni anno avvicinamenti diversi, nonostante i tentativi di tracciare un sentiero logico. Da qualche anno il canalone sotto il passo è stato attrezzato sul lato sinistro più al riparo. Ma restano i segni di precedenti fittoni scardinati dalle slavine di primavera.

            Oggi raggiungo per la settima volta il passo delle Faràngole*.  Ricordo tutti i passaggi attraverso quel valico con una successione di immagini  nitide, simili alle foto di un album. In montagna la mente è più acuta, pronta a ricordare ogni dettaglio. Anche  perché si pensa al ritorno a valle. Attraverso quella porta si scende in Valgrande e si possono poi raggiungere le cime intorno.  Tante cime sopra i tremila metri, appartate  che comunicano ancora il senso della lontananza e dell’avventura di croda.

            Oggi è un caldo strano, nuvole ogni tanto si chiudono. Un tremendo temporale ieri ha devastato un ampia zona del Cadore. Percepisco in Serena che volevo accompagnare su Cima dei Burelòni**  una lieve inquietudine nonostante l’abitudine a questi percorsi. Siamo ormai giunti al ghiacciaio delle Ziròcole, che quasi moribondo è soffocato dalle sue morene. La cima è lì sopra invitante, tra qualche nuvola. Ma ormai l’ora si è fatta tarda. 
            Al ritorno però il cielo si rasserena e dipinge di cento sfumature grigio ocra la dolomia della Catena delle Pale. (05/08/2015)


*  detto anche passo di Valgrande
** Burelòni significa burroni/canaloni ripidi

 
Il passo delle Faràngole al centro

Cima dei Burelòni sulla destra