venerdì 14 ottobre 2016

Improvviso


La morte all’improvviso ti artiglia
il collo e non ti lascia scampo.
Nulla importa se sei giovane
o  se già attraversi la terra
di mezzo sulle tracce incerte
del vagabondare dei selvatici.

La morte ti azzanna come belva
che balza improvvisa dalla tana.
Negli occhi resta  lo stupore
che fa la notte limpida di stelle.
                                     14/10/2016

venerdì 30 settembre 2016

Tutto colpa della Serenoa repens


Ho fatto uno strano sogno. Definire strano un sogno è un eufemismo, giacché ogni sogno è una distorsione della realtà. Certi sogni sono così logici nella loro assurda sequenza che paiono assolutamente reali.

Mi trovavo all’Istituto delle Arti A. Vittoria” dove ero professore di Musica. Il mio amico Giuliano Natali in arte Diaolin, era  invece emerito docente di Storia dell’Arte. Gli stavo mostrando una mia fotografia per una mostra da lui promossa e lui mi suggeriva gli aggiustamenti di colore e di taglio .  “Maschera coela facia” mi disse “se no se capìs chi che l’è!”

Dalla porta entrò, come nulla fosse,  Silvio Berlusconi. Prontamente gli andai incontro, lo abbracciai, (vi garantisco che nel sogno mi sentivo un vergognoso ruffiano) e lo baciai tre volte, alla francese. Al terzo bacio ci fu uno sfioramento di labbra non voluto e  per me imbarazzante. Ricordo il suo vestito elegante, blu scuro, la mentina che rotolava in bocca e il suo profumo di classe.
Si avvicinò poi a Diaolin e parlò affabilmente con lui, ponendogli entrambe le mani sulle spalle. Non so di cosa disquisirono, forse della  mostra che stava organizzando e di cui Silvio era mentore.

Mentre loro parlavano, io dalla finestra avevo modo di osservare un inconsueto monte Corona (il monte di casa), con un bosco autunnale rosso acceso. Vedevo degli invitanti sentieri che si inerpicavano a comode zeta. Sopra il bosco si elevavano delle imponenti rocce grigie di calda dolomia, su cui seguivo due che arrampicavano sullo spigolo contro un cielo  blu caraibico.

Diaolin, poi mi si avvicino con Silvio a braccetto e, battendogli una mano sulla spalla, mi disse in forbito italiano: “Accompagna il Presidente lungo le scale che è ancora stanco per l’operazione” Poi a lui “Grazie di tutto Silvio! A la proxième fois!”

Presi il Presidente sottobraccio e scendemmo per una scala ripida, con degli scalini così alti, che era necessario scenderli a piedi pari. A metà scala mancava uno scalino, e, come nulla fosse, feci fare a Silvio un’acrobatica capriola, fino a farlo atterrare con eleganza sullo scalino successivo.

In fondo alla scala uno stretto corridoio da dove un'altra scala angusta di quattro o cinque gradini dava accesso all’appartamento del Presidente. Lui sali per primo, apri una porta anonima e voltandosi verso di me mi abbracciò. Con la testa appoggiata sulla sua spalla ebbi modo di intravedere di là della porta socchiusa un enorme attico senza pareti divisorie, tutto bianco. Di là di una tenda svolazzante un'abbagliante marina.  Abbracciandolo gli dissi (sempre vergognosamente ruffiano) “Grazie! Grazie ancora di tutto caro Presidente!!!”

               Mi svegliò lentamente il bisogno non più procrastinabile (pena la completa perdita del sonno) di alzarmi per pisciare. Che questo guazzabuglio di sogni sia tutto colpa della “Serenoa repens”?



Note

 Non ho mai votato Forza Italia né sono tifoso del Milan giacché non seguo il calcio. Sono però  amico di Giuliano Natali, in arte Diaolin.

La "serenoa repens" cercatevela su Wilkipedia (per chi non la conoscesse).

giovedì 9 giugno 2016

Masi Dengolo, d'autunno.

          


           Masi di Dengolo. Storie di dura sopravvivenza montanara. Sparsi su una ripida fascia di boschi e prati, a strapiombo sul solco della Val d’Ambiez, alle spalle le rocce impervie della Crona. 
           L’unico approccio ripidi sentieri di antica fatica. Una teleferica per il trasporto dei carichi. Il sentiero sale senza posa, si adagia per un po' tra le case antiche  e  prosegue poi verso le Maghe di Senaso, verso il cuore della Val d’Ambiez. Un sottile, impervio filo che univa solitudini alpestri di pastori e malgari.
           Ieri sono passato in quest’angolo nascosto del Brenta, inondato di sole. Percepivo la presenza dell'dell'orso che ritto sulle zampe, annusa il mio passaggio prima di proseguire il suo viaggio verso le tane del letargo invernale. Le piccole case silenziose all'ombra di vecchi faggi, ristrutturate con rispetto per le storie che ancora raccontano.
           Nell'aria dell'autunno la melanconia del tempo che se ne va con folate di vento o di brezza sottile.
          Un asino e un cavallo attardati al pascolo, hanno mosso appena le teste a guardarmi distratti, troppo assorti nell'ultimo tepore della sera. (13 nov. 2013




Le rocce della Crona







La val d'Ambiez


martedì 24 maggio 2016

Quella da Cornellana a Tineo fu una tappa movimentata - Sul Cammino Primitivo (06.10.2015)


             *A Cornellana si spegnevano le stelle e il cielo ancora umido prometteva una bella giornata.
            Ma bisogna diffidare dei cieli delle Asturie. Dopo un ora di cammino le prime gocce suonavano sulle foglie del bosco autunnale. Pioggia battente per un’ora, rivoli d’acque e fango. Poi della pioggia rimasero  nuvole pigre e qualche spruzzo d’acqua dispettoso.
            Superata Salas,  l’antica calzada romana sepolta tra boschi fitti di castagni, conduce sull’altopiano ventoso dell’Espina. Un vento teso da nord ripulisce il cielo  asciuga gli indumenti. Il soffio vigoroso delle pale eoliche a contraltare con le folate impetuose del vento.
A Bodenaya, dopo venti chilometri, è già pomeriggio inoltrato. Ce la siamo presa con calma. L’ospitalero con un sorriso  rassicurante: “a Tineo undici chilometri. Saranno due ore di  cammino”.
            Così abbiamo proseguito, Diego ed io, rinfrancati e baldanzosi. Ci siamo fermati anche a bere una birra. Non abbiamo fatto i conti con il fango che rallenta, né con la stanchezza che si insinua e alimenta lo scoramento. Lo sconforto che ti fa pensare di aver smarrito la via, il bosco che si fa sempre più scuro nella sera che avanza.
Finalmente le prime case di Tineo si avvistano dall’alto. L’ultimo chilometro che non finisce più e un letto per riposare la notte.  Diego ha preso posto nella cuccetta sotto la mia, di fianco Rita la ragazza ungherese che abbiamo conosciuta ieri sera a Cornellana.
Nella notte mi ha svegliato  una strana sensazione. Voci e rumori soffusi. Nella camera era accesa la luce vicino alla porta pur essendo ancora notte fonda. Rita mi faceva dei segni con la mano ripetendo: "Problem, problem!”. Ho subito pensato che Diego non stesse bene, ed ho preso  a scendere veloce la scaletta del letto. “Problem problem, problem!” ripeteva concitata Rita, facendomi segno con la mano di fermarmi.
Ma ormi era tardi. Mi trovai a sguazzare con i piedi in cinque centimetri di sostanza liquida. Nella notte, silenziosa come a volte sa esserlo, l’acqua della lavanderia aveva allagato il dormitorio. Diego era seduto sul letto con in mano lo zaino e tutte gli indumenti impregnati d’acqua. Avvilito e preso da sconforto.
A volte bestemmio cristo e i santi senza fondato motivo, per poi pregare di nascosto la madonna. Ma in quella occasione nell’albergue di Tineo, angusto, quasi opprimente e infine così dispettoso, avrei avuto qualcosa da ridire anche sulla madonna. Se fossi stato al posto di Diego. Ma Diego è fiducioso e difficilmente si altera o si arrende.
La capacità di adattamento  nelle tappe del Cammino è sempre sorprendente. Così messo da parte avvilimento e sconforto, con le prime luci siamo ripartiti, confidando nel sole che avrebbe asciugato i panni lungo il cammino. Diego fasciato di plastica perché lo zaino non gli inzuppasse anche gli unici indumenti asciutti che aveva indosso. La tappa era breve. Ci attendeva la quiete di un lungo pomeriggio assolato tra le quattro case di Borres, lontano dal mondo.

* Questo racconto era rimasto nel cassetto.


Partenza da Cornellana

Piove

Sulla Calzada Romana



Altopiano dell'Espina

Bodenaya


Ospitaleri di Bodenaya


Appare Tineo
Mattino: Diego col grembiule di plastica e l'acqua che esce ancora dall'Albergue


Gli amici del Cammino Primitivo


Borres


giovedì 12 maggio 2016

Non avevo mai letto Fenoglio


“…Ma dopo un po’ la ragazza uscì, col passo di chi si avvia per un lungo viaggio, e nulla in lei tradiva l’amore – la portentosa indecifrabilità delle donne- e passò energica, quasi rampognante, tra i puzzled partigiani. “

Attraversando Le langhe in bicicletta, sono passato nei luoghi più significativi delle azioni del "Partigiano Johnny".  Dorsali panoramiche, tra i vigneti pregiati del Barbaresco e del Barbera, più in alto tra i noccioli, fino ai boschi di Roccaverano ventosa, che domina ondate di colline a perdita d’occhio.

Guardavo il paesaggio che rinverdiva al sole dell’aprile e pensavo: Devo rileggere quel libro!  Magari con la mente della maturità e gli occhi del disincanto delle lotte perse.

Mi sbagliavo. Non avevo mai letto Beppe Fenoglio in gioventù.

Ma il momento anche se tardivo era giunto. Complice il girovagare tra le colline delle Langhe o le bevute di Dolcetto e  Barbera a innaffiare le cene di Plin e Tajarin dopo le fatiche della giornata. Gli occhi persi dietro le movenze della bella albergatrice che sembrava incarnare l'avvenenza della contessa di Castiglione.

         Mi sono così lasciato travolgere dalla scrittura fervida e potente di Beppe Fenoglio, mescolata a quelle parole e frasi in lingua inglese della quale Lui era fervido cultore. Originale nel tratto inconfondibile del grande scrittore. Ho rivisto la sua vita breve e intensa,  Lui  morto a quarant’anni, non per una pallottola, ma per l’eccessivo fumare.
Non v’è territorio che, quando si attraversa lentamente, non sappia raccontarti le sue storie aspre e forti anche se diluite dal passare del tempo; che non cerchi di giustificare i suoi  dolorosi e ineluttabili trascorsi.

E le bandiere tricolori che il 25 aprile garrivano su ogni casolare sperso nelle Langhe erano per me la testimonianza che forse non tutto è perduto.


Calosso



Roccaverano

domenica 28 febbraio 2016

Quell'estate straordinariamente piovosa




La luce di quella serata estiva scemava velocemente, per l’addensarsi di nere nuvole temporalesche verso la Paganella. Il tuono brontolò lontano, annunciando l’ennesimo temporale di quell’estate straordinariamente piovosa.

Gli uomini discutevano animatamente, in un capannello del dopo cena nella piazzetta della chiesa. Chi era seduto sui gradini e chi in piedi gesticolava animatamente. Si parlava del tempo, delle piogge continue  di quell’estate incredibile. L’uva schiava era attaccata dall’oidio quasi senza rimedio e si temeva per il raccolto ormai compromesso dalla piovosità persistente e improvvida.

Anche Tonòn e Pio** erano nella piazzetta davanti alla chiesa. Qualche anno era trascorso dalle picconate del Tonòn sul soffitto “giust sbianchegià” del Pio. Erano gli anni del boom economico e si cominciava ad andare in vacanze al mare.  Anche figli e nipoti del Pio in quei giorni piovosi d’agosto erano a Jesolo, a quei tempi il mare dei Trentini.
Pio, uomo flemmatico, aveva cercato più volte di intervenire nella discussione.  Anche lui sul tempo di quell’estate aveva da pronunciare una sentenza di condanna. Alzando le mani per attirare l’attenzione:  “za.. za.. zanta madona de dio…e qquei cche è al….”  Ma subito era soffocato dai sacranòni del Tonòn che guardava il cielo sempre più nero. Tonòn preoccupato, pensava alle sue viti sotto attacco del centesimo temporale di stagione.
Globi di lampi a nord ovest, un fitto tamburellare di tuoni preceduti da un vento teso che traeva un sibilo inquietante dalla campanella di sant’Antonio. Il temporale era già sulle loro teste con i primi goccioloni grossi come ciliegie. Un lampo come una fiammata cui seguì il crepito immediato del tuono, improvviso come una cannonata.
Nel silenzio prima del fuggi fuggi generale, il Pio ancora gesticolando con braccia e mani finalmente riuscì a dire la sua: “za.. za.. zanta madona de dio! ...e qquei cche è al mare alora?

** leggi anche: http://andreabrugnara.blogspot.com/2015/08/giust-sbianchegia.html
"....Pio era un uomo flemmatico. Parlava lentamente, con una lieve balbuzie, intercalando spesso il discorso, non con dei sacranòni come Tonòn, ma con un flebile za…za zanta madòna de dio, giacche aveva la esse un po’ sibilante."





martedì 16 febbraio 2016

D'inverno, un funerale






Oggi la tramontana  si avventa sul cimitero, scompiglia i capelli, avvizzisce la pelle rossa per il freddo, arrossa il naso che spicca su facce stranite e livide di freddo.
         
Un funerale, a volte è una circostanza nella quale si  ritrovano  parenti e conoscenti, che non si incontravano da lungo tempo.

Durante la funzione, tra un rechiameterna e un paterave, ho spiato con malizia  disdicevole le facce  contrite che mi circondavano.

Una perfida occasione per constatare il lavorio incessante e demolitore del tempo. Ha scavato instancabile sui volti, riportando alla luce tratti inconfondibili del  patrimonio genetico di ognuno.

Come dal terreno dilavato dalle piogge emerge lo scheletro irregolare della roccia, le rughe si approfondiscono, si ramificano. Ho osservato affiorare posture e atteggiamenti che ricordavano padri, nonni, parenti  all’apparenza lontani. Tratti somatici inconfondibili, che riportavano  all’unica matrice di un clan familiare.

Alcuni già coi capelli grigi come le stoppie, quando il grigio non è mascherato da improbabili colori chimici. Altri una stempiatura irrimediabile, con dei riporti laboriosi. In alcuni il passo si mostra meno elastico, in altri è accentuata la curva della schiena,  l’affossamento del collo nelle spalle. Gli occhi hanno perduto l’acutezza e la vivacità, socchiusi per aiutare una messa a fuoco difettosa.

M’è bastato però incontrare gli occhi di un amico morto a vent’anni per provare un moto di vergogna. Mi guardava dalla pietra con sguardo intenso, mesto eppure sereno. Immobile nella sua eterna giovinezza.

Io, irriverente presuntuoso, da lungo in viaggio su un  diretto senza ritorno, con un’unica fermata a sorpresa.

giovedì 7 gennaio 2016

Passato per caso accanto alla morte





           Un sudore gelido, un dolore lancinante al petto. Forse si è accorto con stupore che la morte era seduta al suo fianco, nella cabina del grande camion, il volto nascosto da un cappuccio nero. Ha cercato invano di guardarla  negli occhi mentre lei con la mano gli faceva un cenno imperioso di arrestare la corsa del pesante mezzo.
            Ora nel traffico improvvisamente fermo, l’autoarticolato è immobile di fianco alla strada come un mostro inanimato, arenato nell’ampio fossato. Lui reclinato sul volante. Nessun sconquasso di lamiere, nessun altro veicolo coinvolto, nonostante la strada stretta e il traffico intenso.
            Natale gira già nell'aria tersa e senza neve. Tutti hanno la solita fretta indifferente. Di ritorno da una bella giornata trascorsa in montagna attendo e guardo il calcare grigio striato di sfumature blu dei Colodri.* Le montagne della val del Sarca, intarsiate dal verde bottiglia della macchia mediterranea, si allungano prospetticamente verso nord.
            Con la macchina in lenta colonna  assisto all'epica di un duello mortale. Di fianco alle enormi ruote dell’autoarticolato, il corpo del pover'uomo ora è disteso sull'erba, nudo fino alla cintola nel freddo della sera. Sussulta inanimato sotto i colpi violenti del defibrillatore. Una giovane dottoressa stantuffa implacabile, con incredibile violenza sul torace dell’uomo. Un vigore impensabile in una donna all'apparenza minuta, che non vuole arrendersi, cercando con le ultime forze di strappare quella vita alla morte.**
            La vita però pare ormai ridotta a un brandello, un’ombra imprecisa, incerta che sembra volersi staccare dal corpo disteso. Di lato ai medici chini sull'uomo morente, una strana figura che indossa un elegante piumino nero, il volto nascosto dal cappuccio gonfio della fredda brezza serale. Con un brivido di gelo ho avuto la certezza di esser passato accanto alla morte, che in disparte attendeva paziente. (23/12/2015).



* I Colodri con il Castello dominano il paese di Arco.

** Il giorno successivo ho appreso dai giornali che l'uomo non è sopravvissuto all'infarto. Prima però era riuscito in uno sforzo generoso a parcheggiare il pesante mezzo in un fossato a fianco della strada senza danno alcuno.