Chi non ricorda quella fase dell’adolescenza o
della prima giovinezza, quando si ha la presunzione di scrivere poesie o di
comporre musica. Spesso sono fuochi fatui. Si sa che pochi sono i poeti che scriveranno versi
immortali e ancor meno i musicisti. Qualcosa mi è rimasto di quel periodo di
ansia creativa. Qualche pagina, alcune lasciate come allora, altre elaborate
dal maturare degli anni
Avevo
in casa un vecchio harmonium. Oggi apprezzerei molto più il respiro di quel
suono vivo, vibrante, ma allora desideravo una tastiera elettronica. Fondare un
gruppo rock con l’amico Eugenio che aveva una voce molto bella e suonava la
chitarra.
Quel giorno mi sentivo particolarmente
ispirato. Spingendo i pedali per dare aria al mantice toccavo i tasti gialli scrostati
con aria assorta. Lo strumento mandava un fiato che sapeva di noci seccate in soffitta. Provavo degli
accordi di quinta , lasciando l’armonia sospesa tra modo minore
e modo maggiore, per dare alla musica un alone di mistero e un senso di
incompiutezza. Su quella trama di accordi mi nasceva un canto spontaneo, senza forzature, come una polla
d’acqua che sgorga dalla terra. Sulla melodia poi avevo scritto un testo
d’amore ricco di sfumature come la tela di un impressionista .
Dell’adolescenza
rimpiango quel essere sempre innamorati, quando bastava uno sguardo per
naufragare in due occhi pieni di promesse. In quel periodo poi mi struggevo
d’amore per una ragazza conosciuta da poco. Mi immaginavo menestrello sotto le sue
finestre mentre Lei ascoltava nella stanza aperta sulla notte lunare. La immaginavo in
abiti trasparenti, dietro le tende della finestra ascoltare rapita, quel canto
nuovo che avevo scritto per lei. Ero in un limbo di appagamento creativo.
Nel
tardo pomeriggio, svogliato davanti ad un libro di scuola l’appuntamento imperdibile con la trasmissione “Per voi giovani”. Per
fortuna c’è stato Renzo Arbore a far
conoscere la musica a chi possedeva solo una vecchia radio valvolare. Era
quello l’unico contatto con la musica d’oltre manica e d’oltre oceano. In
quegli anni un brano musicale non si consumava in tre giorni, ma per merito
degli ascolti rarefatti aveva una vita più lunga. Riascoltarlo alla radio era come un appuntamento d’amore. Si
sviluppava così la capacità di memorizzarlo in fretta e la prontezza nel
suonarlo.
“Ora
una canzone di Simon e Garfunkel” - annunciava
la erre arrotata di Arbore. Alzando gli
occhi dal libro ascoltai con crescente stupore quella musica suggestiva. Quegli
accordi, quella cadenza mi pareva di conoscerli da sempre. Assomigliavano fin troppo alla musica che avevo presunto
di comporre poche ore prima con tanta
ispirazione. Mi resi conto con un tonfo
di delusione che avevo scritto la musica già scritta di Scarborough Fair.
Probabilmente alla radio avevo ascoltato qualche frammento di quella canzone che poi è riemerso dall'inconscio.
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RispondiEliminaprobabilmente ti sei ricordato di Chiara e di Antonio che lo hanno cantato...
RispondiElimina:-)
Sempre bravissimo.
Sicuramente Diaolin quell'atmosfera magica che hai creato per merito di Chiara e Antonio mi ha fatto ricordare quell'episodio che è vero. Sarà capitato anche a te.
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