sabato 14 novembre 2015

Los Canarios - Sul Cammino Primitivo (09.10.2015)






              C’era un gruppo di spagnoli delle Canarie. 

          Una volta a cena li ho sentiti cantare. Cantavano con quel timbro tipico del canto popolare spagnolo, voce tra petto e gola, senza sfumature, potente e ben  intonata, con dei secondi e dei bassi mai banali.

             Alcune volte  ho trascorso con loro la notte nello stesso albergue. Ho avuto modo così di ascoltare due tra i russatori più formidabili del Cammino. Uno piccoletto, tarchiato e azzimato si stendeva sulla branda ed era subito preda del suo russare forte e regolare come un metronomo. L’altro barbuto e robusto, un uomo di trent’anni mite e buono, era però un russatore che non aveva uguali.

           Mai dimenticherò la notte passata a Grandas de Salime. Arrivato stanco dopo la giornata di cammino, los Canarios erano già stesi lavati e profumati sulle cuccette basse. Sotto di me dormiva il Canario barbuto. Guardandolo da vicino negli ultimi preparativi prima del sonno, aveva il sembiante di uno dei Prigioni di Michelangelo.

            Fatico a prendere sonno lontano da casa. Rincorro sempre pensieri e connessioni strane e lontane. Non avevo ancora iniziato a scivolare verso l’oblio, che il mite Canario era già caduto in un profondo sonno. Iniziò con respiri irregolari e ansimanti, misti al gorgogliare della laringe. Poi il vibrare del palato si fece sempre più forte e rumoroso, inarrestabile. Nulla aveva di umano. 

             Non rimaneva che rassegnarsi. Dormire trenta secondi, svegliarsi, riassopirsi. Il microsonno è un esercizio al quale ci si abitua quando è necessario. Ogni tanto mi muovevo scuotendo il letto con l’intenzione di fargli cambiare posizione, ma senza risultati. Allora mi sono messo a seguire i pensieri. Guardavo il soffitto, pensavo a Michelangelo supino che dipingeva la volta della Cappella Sistina, con i colori che gli colavano sugli occhi. Oltre il soffitto immaginavo le stelle che ruotavano nel loro moto perpetuo. Allo stesso tempo seguivo un suono di violino che vorticava nel moto perpetuo di Paganini.

            Non so per quale misteriosa congiuntura. Forse fu il passaggio allo zenit di una stella misericordiosa. Con un ultimo grugnito di soddisfazione, i Canarios si tacquero all’improvviso e all’unisono. Ci fu  ancora qualcuno che si rigirò nel letto con un sospiro di abbandono e poi nella camerata cadde un silenzio profondo e incredibile.

            Mentre anch’io scivolavo poco a poco nel sonno ristoratore, potevo udire la notte che premeva contro i vetri con la sua quiete profonda e avvolgente. Cadevo in lente ruote di  cerchi concentrici  e percepivo distintamente le stelle scivolare in scie luminose verso un nuovo mattino. Mi rimaneva ancora uno scorcio di notte da assaporare e qualche brandello di sogno che liberasse i pensieri. (Grandas de Salime 09.10.2015)

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