sabato 29 novembre 2014

Sant'Andrea co' la so famèa



             "Ma chi è tuo padre"? Al vecchietto del paese che mi aveva perso di vista durante la crescita rispondevo  “ El Cèncio Molinar”. Per l’usanza dei paese di accorciare e storpiare i nomi mio padre Vincenzo era detto Cèncio. Un po’ me ne vergognavo di quel nome. “Ah!” – riprendeva per collocarmi in un quadro familiare preciso-  “Allora tua madre  l’è la Mariòta dei Andreòti da Palù”. Anche Mariòta non mi piaceva. Era ben più dolce  Maria il nome della Madonna! Ma così era nel paese. Mia mamma Maria era la Mariòta, ed io ero figlio del Cencio Molinàr e della Mariòta.

                La sorella di mia madre di nome era Cecilia ma in famiglia era la zia Cila.  Pure lei come mia madre aveva il nome storpiato e anche lei aveva sposato uno di Mosana di nome Vincenzo, ovviamente detto Cencio. Mia nonna Carmela era donna saggia e arguta e con due Cenci per generi soleva dire: “le mé fiòle le à binà  'nsèma tute le sdràce del Comùn .

                I Andreoti era antica famiglia di Palù, soprannominata così perché da diverse generazioni battezzava il primogenito maschio col nome dell’apostolo, terzo per importanza dopo Pietro e Paolo. Anch’io sono stato battezzato Andrea, pur essendo figlio di una femmina della discendenza Andreòta e sono stato l’ultimo dopo generazioni a portare quel nome.  Non mi hanno mai soprannominato  Dèia, come già chiamavano mio nonno Andrea. Quelle abbreviazioni arcaiche con la mia generazione andavano scomparendo.

                Il trenta novembre, Sant’Andrea, era grande festa per la famiglia dei Andreòti. La campagna riposava sotto la neve, il vino nella cantina era giovane. In quegli anni i granai erano pieni e la rata della vendemmia appena riscossa.

                Tradizione popolare considerava Sant’Andrea il giorno dell’inizio dell’inverno. Sant’Andrea co’ la so famèa, diceva il proverbio. Non so se famèa significasse fama o  una vecchia forma dialettale che sta per famiglia. La famiglia che sant’Andrea  portava con se era la fame e il freddo. C’era poi una terza “f” e sottindendeva la televisione di quel tempo. In quelle lunghe notti d’inverno a letto con le galline e dovere coniugale.

                Ero orgoglioso del nome che mi era stato dato anche perché poco in uso in quegli anni. Della notte di Sant’Andrea conservo un felice ricordo. Rimanevo sveglio fino a tardi, ascoltavo le chiacchiere degli adulti attorno al focolare con castagne e vino caldo. Era già dicembre e presto sarebbe arrivata santa Lùzia  con l’asino e la gerla carica di doni. Ci si accontentava di poco. Gesù bambino portava i doni solo ai bambini ricchi.


Sant'Andrea 1952: Nonno Dèia ed io già pensieroso





3 commenti:

  1. leggo con piacere le tue storie .......quasi poesie dette in modo semplice ma piacevole da leggere sembrano infiocchettate come un regalo per chi le legge poi vengo a scoprire degli intrecci famigliari che non sapevo(anche perché io A Ceola ci sono stato davvero poco) ma hocapito che la prima cugina di mia mamma ha sposato UN certo Gigi Molinar che dovrebbe essere tuo zio o mi sbaglio, comunque bella così la storia.

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    1. Grazie Enzo. E grazie Fausto. Il Gigi Molinar dici giustamente è mio zio. La mia famiglia fin dal secolo scorso aveva un mulino sul rio per il grano e l'orzo. Fino agli anni cinquanta. Da lil soprannome.

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