martedì 16 febbraio 2016

D'inverno, un funerale






Oggi la tramontana  si avventa sul cimitero, scompiglia i capelli, avvizzisce la pelle rossa per il freddo, arrossa il naso che spicca su facce stranite e livide di freddo.
         
Un funerale, a volte è una circostanza nella quale si  ritrovano  parenti e conoscenti, che non si incontravano da lungo tempo.

Durante la funzione, tra un rechiameterna e un paterave, ho spiato con malizia  disdicevole le facce  contrite che mi circondavano.

Una perfida occasione per constatare il lavorio incessante e demolitore del tempo. Ha scavato instancabile sui volti, riportando alla luce tratti inconfondibili del  patrimonio genetico di ognuno.

Come dal terreno dilavato dalle piogge emerge lo scheletro irregolare della roccia, le rughe si approfondiscono, si ramificano. Ho osservato affiorare posture e atteggiamenti che ricordavano padri, nonni, parenti  all’apparenza lontani. Tratti somatici inconfondibili, che riportavano  all’unica matrice di un clan familiare.

Alcuni già coi capelli grigi come le stoppie, quando il grigio non è mascherato da improbabili colori chimici. Altri una stempiatura irrimediabile, con dei riporti laboriosi. In alcuni il passo si mostra meno elastico, in altri è accentuata la curva della schiena,  l’affossamento del collo nelle spalle. Gli occhi hanno perduto l’acutezza e la vivacità, socchiusi per aiutare una messa a fuoco difettosa.

M’è bastato però incontrare gli occhi di un amico morto a vent’anni per provare un moto di vergogna. Mi guardava dalla pietra con sguardo intenso, mesto eppure sereno. Immobile nella sua eterna giovinezza.

Io, irriverente presuntuoso, da lungo in viaggio su un  diretto senza ritorno, con un’unica fermata a sorpresa.

4 commenti:

  1. Bella storia, volevo dirti solo questo, che scrissi in una mia vecchia poesia:

    te spetava chi su l’or de ‘l rìo che ‘l core
    pò ài sentù ‘n mèz a la nòt na ciòca gréva
    e na voze da lontan la diss vargót

    l’ài gatà con en sorìso sui sò làori
    e ài capì:
    l’èra sol mòrt!

    E la litorina lassela nàr, la se ferma 'm Paradìs

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    1. Una delle tue poesie più belle. E non l' avevo ancora letta. Melanconica . Ma la melanconia a volte fa più male della tristezza. Lascia quel senso di incompiutezza che strugge un po'.
      Questo mio racconto non è dei migliori. A volte si è malevoli e presuntuosi perché non si pensa abbastanza che ogni giorno è da vivere come un'occasione unica.
      E comunque dopo due racconti che parlano di morte vorrei cambiare registro.

      ComunqueE dopo

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  2. Immagini intense e un finale da imparare a memoria...un abbraccio.

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  3. Sabrina delle Americhe lontane. Grazie. Un abbraccio e se permetti un bacio.

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