Quando la gente della valle viveva solo di
quello che dava la terra, le coltivazioni si distribuivano sul territorio con l’armonia
suggerita da un’antica saggezza. Al digradare delle pendici boscose seguivano
le schiarite dei pascoli, nutrimento per gli animali delle stalle, poi le colture, scorta di cibo per gli uomini e solo
nella parte bassa i vigneti che cercavano il calore del sole fin sulle terrazze
del profondo Avisio. Un mosaico di colori nel susseguirsi delle stagioni. Le
macchie di bosco, le variegate piante da
frutto davano colore al paesaggio: ciliegi,
peschi, albicocchi pruni, noci,
noccioli, peri, nespoli, cotogne, melograni, mele di varietà ormai scomparse.
C’era un frutto dal sapore nostrano da cogliere ad ogni stagione. Legumi e
cereali scorte di cibo quando la terra riposava. Soprattutto le patate, allontanavano la paura della fame durante l’attesa dei mesi invernali.
Quando era l’ora della raccolta, l’aratro a doppia lama apriva solchi
come ferite nella terra. Se l’annata era stata favorevole, emergevano alla luce
come per miracolo, le patate dalle forme e dalle fogge più svariate. Grandi,
piccole, rotonde, ovali, che riflettevano
il colore scuro della terra. Alla fine rimanevano sul terreno arato
i sacchi ricolmi del raccolto.
Sembravano dei totem propiziatori, ringraziamento alla terra aperta che si era svenata per offrire quel dono
prezioso per l’inverno.
Quelle patate
avevano un bel colore bruno di terra. Con le loro strane forme, raccontavano la fatica di nascere e crescere
spingendo con forza nel terreno aspro, per crearsi una nicchia vitale. Quasi
simbolo della vita oscura della gente di quel tempo, tesa ad allargare con la forza della volontà
la loro dura sopravvivenza.
Le patate oggi si
comperano nei supermercati. Fanno dei lunghi viaggi sulle autostrade, per
arrivare ad accontentare la smania di primizie. Hanno tutte una forma
rigorosamente ovale, e sono di grandezza omogenea come fossero cresciute in gabbia
come povere galline. Si sono evolute e specializzate: alcune sono da taglio,
altre da minestra, altre già tagliate a spicchi pronte da friggere. Tutte così
pulite, così asettiche, su di esse è cancellata ogni traccia di terra quasi a
mascherare una vergognosa origine plebea.
Come se
conservare il ricordo della propria nascita fosse una cosa da nascondere e
dimenticare. Sembra la vecchia storia del contadino arricchito che vuol darsi
arie da gran signore. Rinnega persino la madre, ormai troppo umile per il suo
stato di nuovo ricco. Malgrado tutti gli sforzi resterà sempre e solo una povera
patata.
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