martedì 8 ottobre 2013

La Rizàl



 Pur essendo ritornato da poco nei boschi di Giovo in cerca di nuovi territori, mai avevo avuto l’incontro ravvicinato col cervo. Il primo cervo, cacciato al Mont Alt, lo ricordo appeso ai ganci della macelleria del Carlone, spodestato dal suo trono di re della foresta.

Tante volte avevo intravisto le sagome nel controluce di fitti alberi,  e sentito i tonfi degli zoccoli nel bosco. Sicuramente dal rumore forte non erano caprioli, che fuggono con balzi leggeri e dei quali scorgevo tra il grigio degli alberi l’inconfondibile macchia bianca sulle terga.

Nei boschi de la Rizàl qualche volta incontravo un cacciatore. Camminava al limite del confine tra Lisignago e Giovo con passi silenziosi, intento a leggere sul terreno le tracce degli ungulati e ad ascoltare ogni lieve  rumore della vita del bosco. Quando lo incontravo,  lui col fucile sulla spalla, io a volte con la macchina fotografica, ci scappavano due chiacchiere scherzose su caccia e cacciatori ma anche sulle miserie del mondo. Tra le considerazioni argute e le facezie spiritose affiorava la saggezza di chi conosce i tranelli e le sorprese della vita. La mente tuttavia è uno stagno scuro e opaco del quale non si intravedono le profondità. A volte chissà quale melanconia intollerabile o che nostalgia della passata giovinezza  attira verso la quiete degli abissi. Come un tronco pregno d’acqua è attratto inesorabilmente dal fondo.  

"I cervi sono animali che preferiscono la notte per girovagare alla ricerca di cibo...  Per osservare gli animali bisogna fermarsi nel bosco, appostarsi in luoghi strategici, in assoluto silenzio, mimetizzarsi con l’ambiente… Aspettare con pazienza che siano i selvatici ad avvicinarsi a te..." Così mi diceva.

Nei luoghi che più abbiamo amato, frammenti di immagini rivivono come in una effimera eternità, nella mente di chi passa e ricorda. Passo  di là e mi pare ancora di incontrarlo.

Così oggi finalmente ho incontrato  i cervi negli erti boschi de la Rizàl sul territorio di Lisignago: ho contato quattro maschi palcuti e cinque femmine.

Salivano con forte crepitare di rami secchi, rallentati dal ripido pendio. Uno spettacolo di forte emozione che mi ha bloccato col fiato sospeso nell’immobilità più assoluta. Ho potuto osservarli mentre mi passavano molto vicino. Nella fissità dei loro occhi era rimasto lo spavento che aveva provocato quella fuga precipitosa.

Poco sopra si sono fermati in una piccola radura tra sbuffi di fiato condensato nel freddo del mattino. Poi più tranquilli, sentendosi al sicuro, lentamente si sono mossi salendo ancora verso il crinale e sono spariti alla vista dietro un costone verso Calones. Solo allora ho dato fiato al respiro trattenuto e  a malincuore ho ripreso la discesa con la mente leggera di un bambino. 




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