La strada, a
tratti di soffice erba, si snoda ancora
carica dei suoi anni attraverso i campi di Mur, tra vecchi muri a secco
di arenaria, siepi di nocciolo e cespugli di more, quasi immutata nel tempo.
Ora però i meli, le vigne si sono spinti fin quassù a invadere una terra ch’era
di pascolo e di coltivi.
Era cosi aperto e
luminoso questo altopiano! Un mosaico di praterie e di terra nera delle vanegie*.
Nutrimento per gli animali delle stalle, patate e legumi per gli uomini. Un
antico patto ormai venuto meno.
In queste sere di
fine ottobre, il sole pare galleggiare immobile sulle lontane foschie del sud-ovest,
come sospeso su un eterno tramonto, quasi il giorno si sia fermato e abbia un momento di esitazione,
prima di cedere alla notte. “Sole, fermati
su Gabaon, e tu luna sulla valle di Ajalon” esclamerebbe Giosuè nel furore
della battaglia, per avere il tempo necessario a sterminare tutti i nemici in
rotta. Qui invece l’ultima lotta fra il
giorno e la notte è un momento di grande quiete.
La Paganella sembra
un transatlantico che naviga solenne verso la pianura con un pennacchio di
nuvole striate. Dietro si stagliano come le mura di Gerico le Vedréte, con gli
Sfulmini pietrificati, il Campanil de le Strìe
fantasma tra ombre e ultime luci radenti.
Nella luce
incerta del crepuscolo si ha la sensazione di camminare su di uno sconfinato
altopiano andino che si perde in lontananza, fino a confondersi con le ombre
che salgono dalla valle.
Il crepuscolo è quel
momento magico, fugace ed effimero, in
cui la luce diviene sempre più tenue, finché le ombre in agguato la divorano
inesorabilmente. Allora nel controluce
pare quasi di intravedere dei fantasmi chini sulla terra, intenti alla raccolta
delle patate su di un vasto altopiano, i loro movimenti lenti come in un rituale
immobile nel passato.
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