Il
plenilunio di primavera illuminava le veglie della settimana santa. Nelle processioni penitenziali delle
“Quaranta ore”, il vecchio Guido Rizol, intonava lamentoso “Tibi
soli peccavi et malum coram te feci”. Tutti seguivano con i tratti del viso
segnati dalla contrizione. Davanti le donne col velo in testa come mussulmane,
dietro gli uomini con il capo chino, il cappello tra le mani dietro la schiena.
Le risposte ai versetti nel latino maccheronico, si spegnevano stancamente in
fondo alla fila dove gli uomini, si
attardavano a parlare di vino da travasare.
I
fuochi accesi nei bracieri il sabato santo, la chiesa buia che si inonda di
luce e l’organo che fa vibrare i vetri delle navate al gloria che annuncia la
Pasqua cristiana.
Lava
me ab iniquitate mea et peccato meo munda me. ... et in peccatis
concepit me mater mea. Che peccati
avranno fatto i nostri vecchi se non cercare di sopravvivere alla povertà! Oggi
la mente ripete quei versetti biblici come mantra, intanto che cammino con
passi spediti nei boschi di Signoràc verso il Piz de le Agole. Saranno le
reminiscenze di collegio che affiorano alla superficie dello stagno come erbe
acquatiche. Così durante la settimana Santa nella mente garriscono versetti
biblici e frammenti di lamentazioni di Geremia profeta, come bandierine
tibetane preda del vento.
La
natura rinasce sui resti di decomposizione e morte. Questa ansia che prende le
erbe e gli animali al plenilunio di primavera comunica un desiderio contagioso
di purificazione, di liberarsi dalle scorie accumulate nei mesi d’inverno, di disporre
la mente a nuove rinascite.
Quante
volte si è fatto il proposito di imprimere un cambio di rotta decisivo alla
propria vita. Tanti fermi propositi però sono stati sopraffatti da qualche
occasione imperdibile.
Ora
che scendo di malavoglia il crinale fisico della vita, cerco ancora di capire
se è meglio crogiolarsi nei rimpianti o soffrire dei rimorsi. Il rimpianto è forse
nello struggimento del poeta, ma invidio il sorriso vissuto e la ragnatela di rughe
sul volto di qualche vagabondo che incontro per strada.
Oltre
la sella di Signoràc la strada scende verso le radure prative di Pernàia già
verdi. Dopo la salita nel bosco che esala nuovi profumi, di là degli ultimi
pini silvestri che sentono il vento delle creste, lo scoglio di porfido del Piz
de le Agole si svela all’improvviso.
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