venerdì 4 ottobre 2013

Pìz de le àgole






Il plenilunio di primavera illuminava le veglie della settimana santa.  Nelle processioni penitenziali delle “Quaranta ore”, il vecchio Guido Rizol, intonava lamentoso  Tibi soli peccavi et malum coram te feci”. Tutti seguivano con i tratti del viso segnati dalla contrizione. Davanti le donne col velo in testa come mussulmane, dietro gli uomini con il capo chino, il cappello tra le mani dietro la schiena. Le risposte ai versetti nel latino maccheronico, si spegnevano stancamente in fondo alla fila dove gli uomini,  si attardavano a parlare di vino da travasare.

I fuochi accesi nei bracieri il sabato santo, la chiesa buia che si inonda di luce e l’organo che fa vibrare i vetri delle navate al gloria che annuncia la Pasqua cristiana.

Lava me ab iniquitate mea et peccato meo munda me. ... et in peccatis concepit me mater mea. Che peccati avranno fatto i nostri vecchi se non cercare di sopravvivere alla povertà! Oggi la mente ripete quei versetti biblici come mantra, intanto che cammino con passi spediti nei boschi di Signoràc verso il Piz de le Agole. Saranno le reminiscenze di collegio che affiorano alla superficie dello stagno come erbe acquatiche. Così durante la settimana Santa nella mente garriscono versetti biblici e frammenti di lamentazioni di Geremia profeta, come bandierine tibetane preda del vento.

La natura rinasce sui resti di decomposizione e morte. Questa ansia che prende le erbe e gli animali al plenilunio di primavera comunica un desiderio contagioso di purificazione, di liberarsi dalle scorie accumulate nei mesi d’inverno, di disporre la mente a nuove rinascite. 

Quante volte si è fatto il proposito di imprimere un cambio di rotta decisivo alla propria vita. Tanti fermi propositi però sono stati sopraffatti da qualche occasione imperdibile.

Ora che scendo di malavoglia il crinale fisico della vita, cerco ancora di capire se è meglio crogiolarsi nei rimpianti o soffrire dei rimorsi. Il rimpianto è forse nello struggimento del poeta, ma invidio il sorriso vissuto e la ragnatela di rughe sul volto di qualche vagabondo che incontro per strada.
Oltre la sella di Signoràc la strada scende verso le radure prative di Pernàia già verdi. Dopo la salita nel bosco che esala nuovi profumi, di là degli ultimi pini silvestri che sentono il vento delle creste, lo scoglio di porfido del Piz de le Agole si svela all’improvviso.
Pare di sorvolare la valle sulle ali della poiana. Con l’ebbrezza del volo se ne vanno i pensieri mesti e le lamentazioni del profeta. Il rumore, che sale fin quassù, è soffice, intermittente, impigrito dall’aria di attesa della Pasqua.




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