venerdì 4 ottobre 2013

Val de la Stùa









Sembra una primavera incerta, torpida, che si rotola pigramente nelle polle d’acqua che riflettono un cielo imbronciato.

Anche le querce e i castani sono ancora indecisi, e le acacie si sollevano qua e là tra il tappeto verde del bosco, ancora nude e spettrali, con i baccelli secchi che pendono dai rami.

Invece lontano, ovattato, è giunto il canto del cuculo, distorto da una folata di vento. Il suo richiamo inconfondibile, canto della nuova stagione è  stato un tuffo al cuore. Come sorprendere nel folto della selva una ninfa che si bagna nelle acque del rio. Il cuculo ritorna solo quando la primavera  è una certezza.

Ora vagherà inquieto nel bosco, spiando il volo degli altri uccelli,  attraverserà silenzioso le radure con volo furtivo e  radente. Appena però si posa nascosto tra le chiome di un faggio e modula il suo richiamo, allora la foresta tace. Sembra aleggiare tra il fitto degli alberi l’ultimo suono della siringa di Pan a riportare l’antica innocenza perduta.

Lo ascolto immobile, rapito, appoggiato ad una cerchia di faggi, dietro la baita, in mezzo ai prati della Val de la Stùa. Come un fauno, mi illudo che anche le ninfe si liberino della dura scorza degli alberi, che le imprigiona in un passato favoloso, perduto con l’età dell’oro.

La primavera risveglia i pensieri torpidi dell’ après midi d’un faune*, sogni fatui, leggeri, evanescenti. Rispondono solo le piccole valli, ancora gravide delle pioggia notturna, con una eco lontana di flauto sommerso.






* Poema sinfonico di Debussy




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