Sulla Paganella si scorgono nugoli di sciatori.
Scendono e risalgono sulle piste come formiche disperate dopo che l’orso ha
sparpagliato il loro nido La neve scintilla sulle Vedréte. In questa limpida
giornata d’inverno, con questa aria che già sembra aprirsi alla nuova stagione,
avrei voglia essere lassù, nella luce della cresta di Cima Brenta, come già lo
scorso settembre.
Invece dormono ancora gli alberi lungo le strade
innevate che conducono alla Maderlina. Nell’ombra del bosco l’ultima neve
intatta e soffice ricopre il ghiaccio e la neve di altre nevicate, indurite dal
gelo. L’aria ancora fredda, non porta i profumi delle foreste che si stanno
svegliando.
Oltrepassato il solco della val Boràda salgo sulla
cima del Mezalòn, l’elevazione tra la val de le Radìs e la Cròcola. Difficile
che qualcuno giunga quassù. I letti dei caprioli sembrano appena abbandonati.
Il paesaggio appare aspro, tormentato. Innumerevoli vallette si perdono e
ritrovano, tra dossi e pendii. Qualche declivio a prato, piccole radure, conche
coperte di neve, pochi pianori, i prati di baita Gelàsi. Tante famiglie di
piante a seconda dell’esposizione delle quinte delle vallette tormentate. Il
solco della valle del Ri Sec si avvia misterioso e selvaggio dove sprofonda
verso gli sbalzi della Val d’Adige.
Alla Malga del Mont Alt tutto dorme ancora in un silenzio riposante. Nella conca coperta
di neve profonda nessuna traccia.
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