giovedì 10 ottobre 2013

I Fornèi


Il cielo si va coprendo di alte nubi di lana. Come pecore sbandate annunciano Aquilone, il vento delle steppe gelate, che le spinge avanti a sè, fino ai confini dell’orizzonte. Dapprima con soffi decisi per annunciare il suo arrivo, poi quietandosi in freddi respiri regolari. E’ un vento ancora timido, non prepotente, nè gelido nè ostinato. Solo un inviato delle bufere che si  stanno chiamando a raccolta nelle lontane steppe siberiane e che a gennaio entreranno urlando dai portali indifesi del nord.

Ripulisce  tutto  il cielo fino a renderlo limpido e brillante come cristallo. E’ un vento che passa alto e  sfiora le cime degli alberi. Ogni tanto refoli più violenti strapazzano le foglie superstiti.  Alcune scendono rassegnate, con lievi danze, si strusciano con rumori secchi sui tronchi e sui cespugli prima di adagiarsi sul terreno.  Sono bastate due notti di freddo asciutto per arricciare le foglie e gonfiare la terra di fiori di ghiaccio.

 Ai Fornèi, in fondo ai prati, dove al limite del bosco si radunano le acque delle sorgenti, è un isola di pace. Tra i sassi e le pozze di acqua limpida si nascondevano i gamberi d’acqua dolce. Ora non più. L’acqua trasporta i veleni sottili della chimica.

Qui si può ascoltare il lieve brusio del bosco quando il vento  lo culla. Del vento si sente solo un rombo alto, lontano. La brina che riveste le zone ombrose non sente più la forza del sole e annuncia il rimpianto lieve di novembre.


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