Il cielo si va
coprendo di alte nubi di lana. Come pecore sbandate annunciano Aquilone, il
vento delle steppe gelate, che le spinge avanti a sè, fino ai confini
dell’orizzonte. Dapprima con soffi decisi per annunciare il suo arrivo, poi quietandosi
in freddi respiri regolari. E’ un vento ancora timido, non prepotente, nè
gelido nè ostinato. Solo un inviato delle bufere che si stanno chiamando a raccolta nelle lontane
steppe siberiane e che a gennaio entreranno urlando dai portali indifesi del
nord.
Ripulisce tutto
il cielo fino a renderlo limpido e brillante come cristallo. E’ un vento
che passa alto e sfiora le cime degli
alberi. Ogni tanto refoli più violenti strapazzano le foglie superstiti. Alcune scendono rassegnate, con lievi danze,
si strusciano con rumori secchi sui tronchi e sui cespugli prima di adagiarsi
sul terreno. Sono bastate due notti di
freddo asciutto per arricciare le foglie e gonfiare la terra di fiori di
ghiaccio.
Ai Fornèi, in fondo ai prati, dove al limite
del bosco si radunano le acque delle sorgenti, è un isola di pace. Tra i sassi
e le pozze di acqua limpida si nascondevano i gamberi d’acqua dolce. Ora non
più. L’acqua trasporta i veleni sottili della chimica.
Qui si può
ascoltare il lieve brusio del bosco quando il vento lo culla. Del vento si sente solo un rombo
alto, lontano. La brina che riveste le zone ombrose non sente più la forza del
sole e annuncia il rimpianto lieve di novembre.
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