domenica 6 ottobre 2013

Monte Croce






Uno sguardo sulla valle



Le ondulazioni del Dossòn di Cembra  corrono verso ovest fittamente boscose, senza traccia di neve. Dal monte Croce, culmine e incontro di tre comunità,  come da un balcone privilegiato se ne riconoscono tutte le piccole elevazioni e le selle dei passi. La valle del Lago Santo porta i segni di una ferita profonda che si allarga al passare di ogni anno. 

In fondo alla dorsale la cupola di pini del Dos di S. Floriano e la fascia calcarea del monte Corona. I paesi a mezzogiorno bevono a sorsate la luce del sole, distesi al limite delle terrazze dove sprofonda il solco dell’Avisio. Sembrano accattoni seduti sulle scalinate della chiesa a godersi il sole. Più passano gli anni, più guardo alla mia valle con profondo affetto.



Nonostante sia ancora inverno, questi cieli limpidi, colore oltremarino, mi riportano i sogni di lontane estati. Quando l’estate era “la bella estate” di Pavese e di “On the road again” di Kerouac, quella dove il sesso e la vita finalmente avrebbero svelato i loro segreti agognati.

Solo il fiocco di una nube lontana, una esile  striatura ventosa attraversa il blu. La neve sui pendii solivi si assottiglia in larghe chiazze, in una nicchia trema già una pulsatilla.

Uno strano inverno passa sconosciuto. Se non fosse per questa brezza sottile, gelida messaggera della taiga, ma soprattutto per quella ninfa bionda che, abbigliata di Montura, si muove agile, elegante, flessuosa, tra la neve e i sassi della cresta, a ridestare i sogni di quelle lontane estati, sarebbe una pace assolata e assoluta. 



 
  

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