Chissà
in quale stella antelucana, o in quale impercettibile variazione della luce
solare ha letto i segni della nuova stagione.
E’ il nove
febbraio, e al primo chiarore dell’alba, sotto una pioggia gelida e torrenziale
il merlo maschio accorda il suo canto d’amore.
Incurante
della pioggia e di questa recrudescenza d’inverno, tesse trame di gorgheggi
melodiosi alla Primavera. Dapprima incerti, rochi quasi dovesse schiarire
l’ugola, poi via via più raffinati e temerari, come ritrovasse la tecnica del
canto, arrugginita dai mesi invernali. Qualche segreta stella ha risvegliato il
suo amore.
Febraròt en slambròt, lònc el dì come la nòt*. Febbraio pare un mese di
passaggio pieno di contrasti. Giorni brevi eppur più lunghi, notti lunghe eppur
più brevi. Giornate tepide, mattinate gelide. Venti freddi, cieli assolati e
sognanti. Appena cessano i venti del nord si diffonde un tepore che sa di
primavera. Ultimi giorni delle feste del carnevale e inizio della penitenza
della quaresima. La mente avrebbe un
costante bisogno di digiunare guardando a l’essenza delle cose, per scrollarsi
di dosso tutti gli orpelli di cui è
sovraccarica.
La primavera
a febbraio sembra ancor lontana, eppure è già in viaggio. Ivia i messaggeri a
recarne l’annuncio. Il merlo, come l’antico cantore dell’ora, ha dato il segnale.
Adesso anche
le cince sono indaffarate e si sente il loro richiamo ripetitivo dall’alto dei
pini. Ritorneranno poi i migratori dai loro viaggi di vacanza nei paesi caldi.
Il bosco sarà tutto un concerto di canti d’uccelli intenti al nido. Quando
tutto sarà verde, alla fine giungerà da lontano anche il cuculo. Allora sarà
veramente Primavera.
* Febbraio è come una
brodaglia, lungo il giorno come la notte
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