giovedì 10 ottobre 2013

Gàc




Erano nei boschi del Gac, sui versanti occidentali del monte Corona, mia madre insieme ai fratelli, a raccogliere il “far-let” per la lettiera delle bestie nella stalla. Tanti anni fa. Tutto il giorno avevano rastrellato foglie secche sotto i grandi faggi, finché ogni lenzuolo di sacco era stato riempito.

Nel ritorno a casa, come già all’andata, mia madre portava sulle spalle lo zaino, con i rimasugli delle vivande.

 Dopo la cena le ultime faccende prima della notte, mentre gli uomini governavano le bestie nella stalla.

Dallo zaino, ancora appeso alla sedia della cucina, strisciò fuori silenziosa  la vipera. Forse, nel bosco era stata attratta da quella strana tana, che emanava effluvi di cibi esotici e si era assopita. Aveva fatto così un involontario, lungo viaggio.

Frastornata da quello strano mondo in cui era caduta, cercava qualche cespuglio, qualche mucchio di  sassi ancor caldi di sole in cui nascondersi. Mentre  le donne ripulivano la cucina, il rettile reagì con il suo soffio di avvertimento. Alle urla di paura e alle grida d’aiuto, accorsero gli uomini dalle stalle. La vipera non ebbe scampo,  fu uccisa e buttata sul mucchio del letame.

“Da quella volta era l’immancabile conclusione della storia- ho sempre controllato scrupolosamente lo zaino prima di metterlo in spalla e ritornare a casa.”


2 commenti:

  1. i posti più umani possono essere l'ultima spiaggia per chi umano non è

    sto proseguendo dalla vipera de "Le Acque"

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  2. Per fortuna il movimento degli animalisti non era ancora nato altrimenti finivate sul giornale

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