sabato 5 ottobre 2013

Rì dei Molini







Bagnati le tempia e i polsi e bevi pian-pianot". Acqua corrente non porta veleno!”  Allora  quel detto era veritiero: si poteva bere l’acqua del rio, che era pura come quella di ogni altra sorgente delle campagne.

Bello sarebbe se il rio scorresse qui, tra i filari dell’uva! Ma il rio correva in fondo ai prati, fuggiva ridendo,  quasi avesse fretta, nelle forre di tufo.

Una parte dell’acqua, però era deviata in un canale,  scorreva   in fondo al campo, si divideva in rigagnoli per bagnare i prati coltivati, si buttava sulla ruota del molino che girava tutta gocciolante, gorgogliava nella fontanella, prima di ributtarsi nelle gole muscose del rio.

I due molini erano ormai alla fine della loro opera. Guardavano il tramonto dalla loro nicchia di prati, con diversi alberi da frutto. L’acqua cadeva nei cassettoni della ruota in un moto perpetuo instancabile. Sgorgava dalla canaletta a fiotti diversi l’uno dall’altro, che si ripetevano in un ciclo incessante.

Ora  l’edera copre i muri sbrecciati, i ricordi vagano quieti, come fantasmi rassegnati.

Scorre il rio dei Molini, raccoglie e raduna le acqua dei rivi che scendono dalle falde del Corona, da Fònt, dalle Bèrte, ma l’ acqua non è più la stessa. La gente oggi preferisce bere l’acqua di lontane fonti nelle bottiglie di plastica  e lordare l’acqua che scorre davanti a casa.

Anche ora,  quando bevo ad una sorgente che sgorga in montagna, come in un rito che ho appreso e non ho dimenticato, mi bagno le vene dei polsi e le tempia. Bevo poi a piccole sorsate per ritrovare quel gusto della fanciullezza. 



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