“Bagnati le tempia e i polsi e bevi
pian-pianot". Acqua corrente non porta veleno!”
Allora quel detto era veritiero:
si poteva bere l’acqua del rio, che era pura come quella di ogni altra sorgente
delle campagne.
Bello
sarebbe se il rio scorresse qui, tra i filari dell’uva! Ma il rio correva in
fondo ai prati, fuggiva ridendo, quasi
avesse fretta, nelle forre di tufo.
Una
parte dell’acqua, però era deviata in un canale, scorreva
in fondo al campo, si divideva in rigagnoli per bagnare i prati
coltivati, si buttava sulla ruota del molino che girava tutta gocciolante,
gorgogliava nella fontanella, prima di ributtarsi nelle gole muscose del rio.
I due molini
erano ormai alla fine della loro opera. Guardavano il tramonto dalla loro
nicchia di prati, con diversi alberi da frutto. L’acqua cadeva nei cassettoni
della ruota in un moto perpetuo instancabile. Sgorgava dalla canaletta a fiotti
diversi l’uno dall’altro, che si ripetevano in un ciclo incessante.
Ora l’edera copre i muri sbrecciati, i ricordi
vagano quieti, come fantasmi rassegnati.
Scorre
il rio dei Molini, raccoglie e raduna le acqua dei rivi che scendono dalle
falde del Corona, da Fònt, dalle Bèrte, ma l’ acqua non è più la stessa. La
gente oggi preferisce bere l’acqua di lontane fonti nelle bottiglie di
plastica e lordare l’acqua che scorre
davanti a casa.
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