mercoledì 9 ottobre 2013

Costa



Le sere d’inverno in cucina vicino al focolare, il buio  che premeva sui vetri,  i gemiti del vento tra le travi del tetto, gli spifferi freddi che facevano rabbrividire le tende delle vecchie finestre. Le storie di animali selvatici, di masnadieri che assalivano i passanti, mi facevano immaginare i boschi come luoghi scuri, densi di paura.

 Così quando si andava nel bosco di Costa a far legna, le tante storie ascoltate, raccontate mille volte, mi venivano incontro sotto la volta misteriosa degli alberi. Però la luce del giorno fugava i timori, sentivo la forza buona delle piante e la saggezza che ispiravano le vecchie querce sedute ai margini delle radure.

 Gli alberi mi sembravano tanti fratelli che si tenevano per mano per farsi compagnia,  abbracciati per darsi forza contro il vento e la neve. La luce che filtrava dai palchi dei rami o il respiro delle radure allontanavano il timore di gnomi e streghe, di orsi e serpenti.

Ogni tanto però, pensavo anche alla storia di Pollicino e alle briciole di pane mangiate dagli uccelli. “Non si sa mai!”  Cercavo di non perdere mai di vista le  sagome di mamma e papà tra le fronde degli alberi e rimanevo sempre a portata della loro voce rassicurante.

Da bambino non ho mai avuto l’avventura di trovarmi  davanti ad una vipera. Nell’età adulta ne ho visto più d’una nei boschi o in montagna e sempre nei momenti più inaspettati.

Superato il momento di spavento, ho potuto osservare la natura timida, schiva, quasi impacciata di questo animale.  “Basta non aver la sfortuna di calpestarla e lei se ne va per la sua strada”. Così quando capita, dominata la paura, la osservo con rispetto mentre si intrufola nei suoi misteriosi nascondigli.






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