Nei suoi ultimi
giorni Gennaio mostra i denti in un ghigno feroce. Sembra mantenere fede al
vecchio adagio dei giorni della merla. Il cielo è di un grigiore uniforme, la
terra chiusa nel gelo, la neve
cristallizzata. Si può camminare sul lac de Montesèl corazzato di ghiaccio,
intristito e triste. Pare impensabile che basti il fiato tepido della primavera
a sciogliere questa dura corazza di gelo.
La temperatura
solo qualche grado sotto lo zero, ma la tramontana ha sciolto la sua torma di
lupi scatenati che si avventano sull’altopiano delle Angòje e aggrediscono
urlando i boschi del Marìc e Mancabròt. Giungono raffiche improvvise e violente a
squassare gli alberi. Il vento scuote i pini esposti delle creste con una
violenza forsennata.
Sembrano
posseduti da una torma di trolls giunti dalle foreste nordiche. Li guardo
spaurito dimenarsi in una danza scomposta nella penombra del primo crepuscolo,
gemere e lamentarsi, sfiorarsi, toccarsi, flagellarsi in una ridda frenetica,
quasi preludio ad una notte di sabba.
Eppure, di là
della cresta, sul versante sud in vista dei paesi della valle, si trova riparo
da quella sorda prepotenza in isole di calma irreale, di tepore torpido, dove
il vento è un mugghiare alto, lontano.
Si accendono le
luci di Ceola tremolanti, limpida la valle dove il vento disperde i fumi dei
camini delle case. Gli uccelli e gli
animali tacciono al riparo delle oasi che ben conoscono. Pensare ad una
casa che
attende e proteggerà dal vento
della notte dona un senso di pace
infinita.
Ceola dal Maric |
Dal Marìc verso S. Floriano |
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