martedì 8 ottobre 2013

Mancabròt



 Si inseguono le notti serene, sempre più gelide. La tramontana ha esaurito la sua rabbia, ed è rimasto il suo fiato freddo nel cielo di cristallo.

Dai dirupi del Mancabròt le pinete gonfie di vento declinano verso la chiesetta di S. Floriano, grigia nel verde cupo dei pini che assorbono l’ultima luce.

Si dice che su Mancabròt sono state rinvenute punte di selce, vestigia di caccia e bivacchi di cacciatori preistorici. Non so se è vero ma aspetto la notte sulla sommità di questo maniero abbandonato proprio come un cacciatore del  paleolitico.

Il momento del tramonto è misterioso e risveglia le paure segrete dell’inconscio. E’  lenta e silenziosa l’agonia del sole. L’orizzonte si incendia e ogni profilo delle lontane quinte dei monti risalta nitido. Dopo la morte del sole, nel cielo spazzato da alte correnti, resta una striscia rossa di sangue. Poco a poco si stempera nel blu profondo delle ombre che salgono dalla valle, attratte dalla cavità del cielo. Se non fosse per le stelle, che si accendono come segnali tremolanti di speranza, il cielo sarebbe una voragine paurosa.

Subito il freddo si fa penetrante, nel bosco cade il silenzio del sonno e dell’attesa. L’oscurità si fa improvvisamente densa, misteriosa.

Ha pure un suo nido il mio cuore sospeso nel buio, una voce; sta pure in ascolto la notte.*

 Il bosco si fa protettivo come una madre che ti avvolge con le sue braccia. Come un grande polmone trasforma le raffiche nervose del vento in  respiri leggeri. Le conche muscose, dove il freddo è mitigato dalla volta degli alberi, invitano al sonno, a cercare come gli animali un riparo per la notte.


* Quasimodo



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