lunedì 7 ottobre 2013

Genaròn dai denti lònghi



Genaron dai denti longhi. Giorni brevi, gelidi dove il freddo sembra non dare tregua, la catasta della legna cala in maniera preoccupante.

Eppure il sole nelle ancor brevi giornate che indugia sempre più al tramonto apre alla speranza di una nuova stagione. La luce al mattino invece tarda a giungere.  Dapprima arrossa i picchi del Brenta, si riflette sui ghiacciai e poi cala con estrema lentezza verso le valli immerse ancora in una fredda tenebra azzurrina.

Il culmine del freddo quando “ S. Antoni el sèra i cogni”, e la morsa del gelo si fa più crudele.

Eppure bastano tre giorni ed ecco che il venti gennaio arriva “S. Bastiàn con la viola in man” e il giorno dopo S. Agnese con “la lusertola for per le zése”. I primi tepori già risvegliano le lucertole e la viola suavis alza il capo tra le foglie secche dei noccioli.

Gli ultimi giorni di gennaio però riservano l’ultima recrudescenza, con le bufere di neve e il vento di tramontana dei “giorni della merla”. In quei giorni da tregenda l’inverno sembra non avere fine.

 Invece dopo due giorni, il due febbraio la “Candelora dell’inverno sen già fora” sancisce la fine dell’inverno più crudo. Se però la giornata è limpida  allora “Seren serenèla quaranta dì carpèla e sete volte la neo”. Quaranta e sette numeri magici di matrice biblica e le carpèle sono le scarpe dotate di piccoli ramponi per non scivolare sulle strade gelate.

Tanti detti popolari, diversi per diverse situazioni climatiche di tanti diversi inverni. Gli inverni non sono  mai uno uguale all’altro, nemmeno nel passato. Il ricordo di certe nevicate favolose, quando tra le case correva un sentiero con ai lati muri di neve, sono immagini oniriche di una mente fanciulla.

Con gli anni si accumulano come foglie secche ai piedi del tronco, si confondono col terreno e nella memoria e alimentano il fantastico degli anni che furono.


 

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