Erano
nei boschi del Gac, sui versanti occidentali del monte Corona, mia madre
insieme ai fratelli, a raccogliere il “far-let” per la lettiera delle bestie
nella stalla. Tanti anni fa. Tutto il giorno avevano rastrellato foglie secche
sotto i grandi faggi, finché ogni lenzuolo di sacco era stato riempito.
Nel
ritorno a casa, come già all’andata, mia madre portava sulle spalle lo zaino,
con i rimasugli delle vivande.
Dopo la cena le ultime faccende prima della
notte, mentre gli uomini governavano le bestie nella stalla.
Dallo
zaino, ancora appeso alla sedia della cucina, strisciò fuori silenziosa la vipera. Forse, nel bosco era stata
attratta da quella strana tana, che emanava effluvi di cibi esotici e si era
assopita. Aveva fatto così un involontario, lungo viaggio.
Frastornata
da quello strano mondo in cui era caduta, cercava qualche cespuglio, qualche
mucchio di sassi ancor caldi di sole in
cui nascondersi. Mentre le donne
ripulivano la cucina, il rettile reagì con il suo soffio di avvertimento. Alle
urla di paura e alle grida d’aiuto, accorsero gli uomini dalle stalle. La
vipera non ebbe scampo, fu uccisa e
buttata sul mucchio del letame.
“Da
quella volta era l’immancabile conclusione della storia- ho sempre controllato
scrupolosamente lo zaino prima di metterlo in spalla e ritornare a casa.”
i posti più umani possono essere l'ultima spiaggia per chi umano non è
RispondiEliminasto proseguendo dalla vipera de "Le Acque"
Per fortuna il movimento degli animalisti non era ancora nato altrimenti finivate sul giornale
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