Si
inseguono le notti serene, sempre più gelide. La tramontana ha esaurito la sua
rabbia, ed è rimasto il suo fiato freddo nel cielo di cristallo.
Dai dirupi
del Mancabròt le pinete gonfie di vento declinano verso la chiesetta
di S. Floriano, grigia nel verde cupo dei pini che assorbono l’ultima luce.
Si dice che
su Mancabròt sono state rinvenute punte di selce, vestigia di
caccia e bivacchi di cacciatori preistorici. Non so se è vero ma aspetto la
notte sulla sommità di questo maniero abbandonato proprio come un cacciatore
del paleolitico.
Il momento
del tramonto è misterioso e risveglia le paure segrete dell’inconscio. E’ lenta e silenziosa l’agonia del sole.
L’orizzonte si incendia e ogni profilo delle lontane quinte dei monti risalta
nitido. Dopo la morte del sole, nel cielo spazzato da alte correnti, resta una
striscia rossa di sangue. Poco a poco si stempera nel blu profondo delle ombre
che salgono dalla valle, attratte dalla cavità del cielo. Se non fosse per le
stelle, che si accendono come segnali tremolanti di speranza, il cielo sarebbe
una voragine paurosa.
Subito il
freddo si fa penetrante, nel bosco cade il silenzio del sonno e dell’attesa.
L’oscurità si fa improvvisamente densa, misteriosa.
Ha pure un suo nido il mio cuore sospeso nel buio,
una voce; sta pure in ascolto la notte.*
Il bosco si fa protettivo come una madre che
ti avvolge con le sue braccia. Come un grande polmone trasforma le raffiche
nervose del vento in respiri leggeri. Le
conche muscose, dove il freddo è mitigato dalla volta degli alberi, invitano al
sonno, a cercare come gli animali un riparo per la notte.
* Quasimodo
la mia montagna io sono nato ai piedi del Mancabròt
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